Qualche mese fa, mentre effettuavo una consulenza in farmacia, la Dottoressa ha ricevuto una telefonata da una donna, la signora Sara. Non era cliente ma aveva bisogno di informazioni su un farmaco per il figlio. Durante la telefonata, però, si sentivano distintamente le urla di un uomo, forse il marito. Lui la incalzava con parole sprezzanti: “Sbrigati! Sei ancora al telefono?? Muoviti!! Non sai fare niente!! Sei proprio inutile!!”. Sara, già in ansia per il farmaco da somministrare al figlio, parlava a fatica, spaventata e disorientata. Dopo aver ricevuto dei chiarimenti, ha chiuso velocemente la telefonata. La farmacista ha provato almeno a capire chi fosse e da dove chiamasse ma la signora Sara non ha voluto o forse non è riuscita a dire nulla di più.
Questo episodio, che quella mattina ci ha scosso tutti, purtroppo è solo uno dei tanti casi di violenza che possiamo incontrare quotidianamente e se per qualcuno può sembrare un caso banale, allora sono davvero tanti.
La violenza che continua a fare vittime come il più maligno dei tumori, parte spesso lentamente, da queste “banalità”. Ai pugni, ai coltelli, ci si arriva dopo. Le prime ferite sono le offese, il controllo, le privazioni, il maltrattamento della dignità.
La farmacia in tutto questo oltre a essere un luogo di cura è sempre più un punto di ascolto e sostegno. Sappiamo che i farmacisti sono abili a fare “quella domanda in più”, quella domanda che spesso salva una vita. Oggi può salvarla non solo evitando l’errato utilizzo di un farmaco ma aiutando una donna che non è affetta da un tumore ma se lo è sposato. Una “malattia cronica” da cui non potrà mai guarire se lasciata da sola.
Fatela quella domanda in più, perché “Sara” è un nome di fantasia, la sua storia purtroppo no.